Negli affreschi sistini numerose scene o figure della storia del popolo ebraico sono presentate come origine, o prefigurazione, della storia cristiana aperta dall’Incarnazione. Il ciclo degli Antenati di Cristo, dipinto sulle lunette e sulle vele della volta, svolge un ruolo essenziale nel connettere le due «età»: l’enumerazione dei patriarchi e dei re della stirpe di Abramo si conclude, in accordo con la genealogia proposta nel Vangelo di Matteo, col nome di Giuseppe, marito di Maria e padre di Gesù.
La tradizione iconografica presentava solitamente questi patriarchi come venerabili figure maschili accompagnate dai loro discendenti; Michelangelo stravolge radicalmente le consuetudini figurative accostando, nelle lunette della Sistina, ai nomi degli antenati una straordinaria serie di famiglie immerse nella vita quotidiana: donne che accudiscono i loro bambini o intente ai lavori domestici, vecchi padri pensierosi o addormentati, personaggi erranti, uomini e donne in attesa. Queste figure presentano tutti i tratti della «carnalità» che san Paolo attribuisce agli ebrei: attaccamento alle abitudini, incapacità di comprendere il senso dei testi al di là del significato letterale e, soprattutto, ostinata cecità rispetto alla Rivelazione.
Considerando gli affreschi della Cappella Sistina come un’unica, formidabile fabbrica visiva della storia cristiana, Giovanni Careri ne rilegge il senso a partire dal nesso stringente che s’instaura tra la costruzione del «corpo glorioso» nel Giudizio universale e l’evocazione del suo limite carnale nelle fisionomie spossate degli Antenati di Cristo. In queste figure dell’epoca che precede l’avvento del Messia è possibile riconoscere, del resto, anche gli ebrei contemporanei a Michelangelo: i loro corpi presentano i segni tipici della stigmatizzazione antiebraica nel tempo della Riforma; con il loro melanconico torpore, sono «l’altro» del quale il discorso cristiano dell’epoca ha bisogno per definire la propria identità, ma sono anche lo specchio del cristiano negligente, l’elemento di inerzia che resiste, ritardandone il compimento, all’accelerazione della storia iniziata con la venuta di Cristo.
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